domenica 15 marzo 2015

Bracbah - La Maledizione di Kisora


Dopo aver abbandonato la tribù di Kew-Akon, me ne stavo sdraiato selle rive del lago Ityka a riposare.
Ogni tanto smettevo di fischiettare e ascoltavo l’incessante canto delle cicale. Osservavo , la luce del sole che tramontava e che lentamente veniva risucchiata dall’orizzonte, mentre distrattamente gettai l’occhio sulla mia bisaccia e mi ricordai della pergamena donatami da Kaus. Incuriosito accesi una candela con la pietra focaia e iniziai a leggere. Una piccola goccia di cera cadde sopra la parte finale della pergamena. La grattai via con le unghie velocemente prima che si potesse rovinare, e poi afferrandola con entrambe le mani non poteri fare a meno di leggere quella scritta:
“Percorrendo una strana distesa di sabbia chiarissima senza tracce nè di alberi, nè di erba, accantonata da qualche regione di Bracbah, una piccola strada attraversa due grandi braccia fino a portare alla nostra città. Solo se guardate ad est, nella penombra, al sorgere del sole, potrete trovare le braccia che proteggono la città”.
Rilessi più di una volta quella frase, all'apparenza era ironica e contorta. Cercai di capire se mai ci fosse stato un significato o era solamente uno scherzo di Kaus.
Mormorando un’ultima volta, ripetei: "... se guardate ad est … potrete trovare le braccia...".
Aggrottai la fronte e portai la mano destra tra i capelli e pensai intensamente. Cosa potrebbero essere le due braccia? Un fiume? Delle rocce? Sicuramente la terra senza erba si trova nelle terre del sud ed è un deserto. E qui non ci vuole uno studioso per capirlo, ma dove sarà? Forse ancora più a sud? Poi distolsi lo sguardo dalla pergamena e quando mi chinai a prendere del cibo dalla sacca, vidi in lontananza delle ombre che si muovevano sulle rive del fiume. Demoni! pensai subito. Nessun umano sano di mente si avventurerebbe in queste zone di notte. Quindi spensi la candela e mi nascosi dietro un cespuglio aspettando il nuovo giorno.
Il mattino seguente raccolsi la mia roba e mi incamminai in cerca della città perduta. Forse era per questo, che Kaus mi aveva donato la pergamena, voleva che io ritrovassi la sua città.
E con questa convinzione vagai per più di un anno nei tanti deserti delle terre del sud, sempre solitario e sempre di nascosto, evitando il più possibile tutti i villaggi popolati da demoni e umani sottomessi a loro. Molto spesso avevo sentito storie che parlavano di nuove razze nate da gli incroci tra demoni e le donne umane. Mi sono sempre chiesto se tutto quello era davvero il volere degli spiriti.
Un giorno mi trovai a percorrere in una piana molto grande, dalla sabbia bianca, e lì mi tornò in mente la profezia scritta sulla pergamena. Così mi cercai un posto sicuro dove passare la notte e attesi con angoscia e curiosità la nuova alba.
Non appena il sole si alzò ad est, vidi in lontananza erigersi due grandi montagne rocciose. «Le grandi braccia!» esclamai ad alta voce nel massimo della mia felicità per aver trovato la strada. Raccolsi la mia roba e iniziai a correre più che potevo finché, improvvisamente, quando il sole si levò abbastanza da far scomparire la penombra, le montagne non sparirono. Mi gettai a terra dallo sconforto ero stanco e distrutto. Mi ripetei più volte cosa avessi sbagliato, ma alla fine non trovavo nessuna soluzione. Rilessi la pergamena, in ogni piccolo dettaglio e in ogni piccola frase, ma mi ritrovai di nuovo punto e a capo. Decisi, infine, di continuare nella direzione del sole, forse avrei trovato altri indizi. E così fu. Dopo tre albe, mi trovai abbastanza vicino da poter attraversare una barriera invisibile che copriva la via per Kisora agli estranei.


Quando sole fu alto, non vidi più il deserto di sabbia bianca, ma solo queste due grandi montagne che mi circondavano e mi coprivano la vista fino al cielo. Mi guardai intorno sbalordito, poi mi incamminai nell’unica direzione possibile. La strada era stretta, ma pavimentata da grosse lastre di pietra bianche e nere, e la seguii per molto tempo. Non fece mai buio. Non so per quanti giorni e non so quante ore passarono, ma improvvisamente udii un eco di passi di fronte a me. Era un passo lento e strisciante, accompagnato da un suono sordo come fosse ul tocco su un tamburo. Si avvicinava sempre di più. Mi fermai e mi guardai intorno in cerca di un riparo o di un nascondiglio, temevo l’arrivo di qualche strano demone, ma improvvisamente comparve davanti a me un vecchio elfo gobbo, molto esile dalla pelle rugosa e bianca. Indossava un tonaca bianca con delle strisce nere sulle maniche e sui bordi del collo.
«Chi sei tu?» mi domandò quando mi fu vicino.
«Sono un cercatore di storie e di reliquie» gli risposi.
Mi guardò con un’espressione interrogativa, poi si passò la mano sulla testa pelata e accennò una frase ma subito lo interruppi. «Oh mi scusi, prima di tutto è buona maniera presentarsi. Sono Ahsdì di Castleshlie».
«Di Castleshlie?» mi rispose senza nascondere la sua espressione interrogativa.
«Si si, ecco vede io giro per tutta Bracbah, per cercare e scoprire antiche pergamene, tomi e libri da mettere nella mia biblioteca». Mi fermai qualche istante perché avevo notato che il gobbo stava per sbuffare e cambiai discorso. «E lei chi è? Come la posso chiamare?»
«Sono Åplŏŏ e sono il custode della cultura di Kisora. Come sei entrato qui, in questo luogo sacro?»
«Kaus mi ha donato la pergamena del coraggio…»
«Kaus hai detto?» rispose sghignazzando.
In preciso momento, l’espressione di quel gobbo elfo mi fece rabbrividire; invece di essere sorpreso della pergamena mostratagli, era quasi contento che io fossi lì.
Poco dopo si voltò e senza dir nulla si allontanò, percorrendo la strada da cui era venuto. Lo osservai per qualche istante, poi decisi di seguirlo fino a raggiungere il villaggio di Kisora. Era piccolo con strade fatte di grosse lastre, case di pietra bianca con tetti coperti di fiori rossi. In lontananza, notai una donna seduta sugli scalini di un tempio posto al centro del villaggio, era intenta a dipingere una grossa tela. Incuriosito, mi avvicinai, ma quando ero quasi arrivato al tempio, lei scomparve nel nulla. Sorpreso e incredulo mi guardai intorno più volte e l’unico essere vivente che c’era nelle mie vicinanze era Åplŏŏ che mi attendeva davanti al portone del tempio.
«Senta, ma lei ha visto quella donna?» subito gli domandai.
«Se hai visto lo spirito di Kisora allora sei pronto per entrare nel tempio e cercare quello che desideri».
Lo guardai perplesso per qualche istante, e poi gli chiesi cosa avrei dovuto individuare. E lui con molta calma mi disse che solo io sapevo cosa cercare.
In quei momenti ero diventato ancor più confuso, ma decisi comunque di seguirlo nel tempio finché non notai una grossa pietra al centro di esso.
«Åplŏŏ! Cosa c’è scritto su questa pietra?»
Zoppicando e con un’aria scocciata, il gobbo venne da me e mi tradusse la frase.
«Le scelte vanno ponderate, se prenderai quella sbagliate le sabbie del tempo si rivolteranno contro»
«Cosa significa?» gli domandai subito, ma lui mi liquidò dicendo che dovevo cercare solo quello che volevo e nulla più.
Dopo qualche attimo di silenzio, mi fece un cenno e lo seguii lungo il corridoio di quel tempio
semi abbandonato. Era un edificio chiaro con molte finestre e decorazioni scolpite che simboleggiavano la perfezione. La costruzione era dedicata a Kiwâh e il gobbo aveva eretto un piccolo altare in suo onore.
Åplŏŏ mi accompagnò ad una porta che dava su delle scale buie. Mi diede una torcia e prima di sparire nell’oscurità mi disse di seguire la mia strada. Ancora una volta rimasi perplesso per i comportamenti di quello strano gobbo, ma improvvisamente sentii dei rumori sordi provenire dal fondo delle scale così mi feci coraggio e scesi nel buio. Percorsi un lungo corridoio, ripensando sempre alle parole scolpite nella pietra, finché la luce della torcia non illuminò il volto di un orco al mio fianco. Spaventato, gettai per terra la torcia e iniziai a correre.
Non so per quanto ho corso e in quale direzione, ma mi immobilizzai sulla soglia di una sala grande dove al centro vidi ancora quella donna misteriosa che dipingeva. Il locale doveva essere lungo tremila passi e largo duemila, perché più camminavo e più mi sembra di non raggiungere mai lo spirito di Kisora. Ma quando fui vicino a lei, qualcosa pervase il mio corpo facendomi piombare in un lungo tunnel buio dove in lontananza riuscivo ad intravedere una piccola luce.
Scocciato e stanco ripresi di nuovo a camminare, nella speranza di uscire dal quel luogo strano. Ad ogni passo il mio fisico diventava sempre più pesante e sempre più debole. Le ossa mi stridevano provocandomi un forte dolore.
Non appena mi trovai fuori dal tunnel la luce del sole illuminò le mie mani rugose e rinsecchite mentre un leggero soffio di vento caldo accarezzò il mio viso pallido invecchiato di molti anni in pochi attimi.

«La mia anima è macchiata da una maledizione drow e quelle orecchie a punta di Åplŏŏ dovranno spezzarsi» urlai in alto al cielo dalla disperazione. In quei precisi momenti non mi seppi dare una spiegazione, ma nel viaggio di ritorno verso casa capii di aver sbagliato strada e le sabbie del tempo si sono rivoltate contro di me succhiandomi la gioventù. Forse era questa la vera prova di coraggio? mi domandai per tanto tempo.


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