Quando accesero le candele profumate alla
lavanda, Ŧuaŧhar capì che quello non era più il posto per lei. In una grotta,
all’ombra del monte Agoht, il rito sacrificale attendeva la sua vittima. Le
donne della sua tribù, dopo averla preparata, la squadrarono da capo a piedi.
«Guarda che non è la fine, gli spiriti ti
attendono» disse una di loro.
Ma Ŧuaŧhar
si chiese chi le avesse fatto accettare quel ruolo così importante ma così
fatale. La risposta balenò in mente prima ancora di aver finito la domanda. Da
una parte c'era la sua famiglia e il suo destino, essendo figlia dello sciamano
della tribù. Dall'altra, la voglia di imparare a usare la magia: ella la
considerava un dono degli spiriti e non una vergogna per tutta la sua gente.
Improvvisamente
lo sciamano aprì la tenda e le andò incontro, mentre un soldato faceva capolino
alle sue spalle. «E’ giunto il momento» mormorò dandole una spinta in avanti.
Giunta nella sala delle profondità, si guardò
intorno e le urla festose del popolo presente, calarono subito fino a un
surreale silenzio. Mancava qualche passo e poi si sarebbe dovuta gettare nel
buco oscuro. Ma non ne ebbe il coraggio, così un semplice gesto delle mani
spense tutti i bracieri presenti. Con l’oscurità, strappò la spada dal fodero
di un soldato e poi scappò via da quella grotta.
Dopo dieci giorni di fuga nel deserto, tra
terra arida, sabbia, scorpioni velenosi, alberi secchi e salsola o rotolacampo,
arrivò nel villaggio di Enbuja. Era un villaggio di tende e capanne coniche
fatte da mattoni, fango e pietra calcarea costruite attorno ad un oasi di
palme. Lì fu catturata da Keffe, uno stregone potente che ne intuì le
potenzialità, e la rese sua schiava personale.
Durante il loro lungo viaggio per il grande
deserto Ŧuaŧhar apprese tutte le arti magiche tradizionali dei Madis, finché un
giorno, giunti al villaggio di El Milehk, alle foci di EnKyh sul grande Mare,
usò il potere della magia di Keffe per ucciderlo e scappare di nuovo via.
Ŧuaŧhar
non voleva piagarsi alla volontà del suo destino. Non voleva fare la schiava,
non voleva essere sacrificata nel nome degli spiriti. Voleva soltanto usare la
magia a suo piacimento. Del resto, c'era qualcosa di rassicurante nell'avere il
destino già segnato: fare tutto l’opposto di quello che le era stato
predestinato, nessuna scelta da fare, nessuna preoccupazione per il futuro.